Qualcuno alla porta: incipit


 

Toc toc toc.

Alice si svegliò di soprassalto completamente sudata e sgranò gli occhi. Aveva sentito bussare? Guardò le cifre luminose dell’orologio sul comodino: 1.27. “Diamine, chi può bussare a quest’ora della notte? No, devo essermi sbagliata, faceva parte del sogno”. Meglio così, comunque, perché era uno stramaledetto incubo.

Rimase seduta sul letto immobile, con l’orecchio teso a captare qualunque fruscio: niente, silenzio. Dopo qualche secondo di apnea espirò sbuffando. Si scostò dalla pelle la maglia del pigiama bagnata. “Devo comunque alzarmi e cambiarla, non la posso tenere addosso in queste condizioni”.

Che razza di scherzo le aveva fatto il cervello ad architettare un film così violento e angosciante nella sua testa! Poggiò le piante dei piedi nudi sul tappeto, tentando di mettere assieme le immagini del sogno. Era ancora lì, lo doveva afferrare subito, altrimenti tempo pochissimi minuti e non ne sarebbe rimasta traccia. Invece lei voleva ricordare, doveva ricordare. Riguardava Max ed era brutto, veramente brutto. Cominciò a ricostruirne le sequenze.

Erano le nove e mezza di sera e Max l’aveva chiamata sul cellulare. Non era in programma che si sentissero, lui aveva la partita di calcetto con gli amici al martedì. Aveva risposto sorpresa e allegra.

"Vieni subito da me. Ti devo parlare." Il tono perentorio di lui l’aveva spiazzata. Con mille domande nella testa si era vestita. L’aveva fatto con cura, come sempre quando dovevano incontrarsi, perché lei voleva essere al top per Max. Alice adorava Max. Nessuno mai l’aveva fatta sentire una donna come Max in quei sei mesi d’amore. Nessuno l’aveva coperta di tenerezza come poteva fare Max. Con nessuno aveva provato le sensazioni inebrianti e destabilizzanti come quando faceva l’amore con Max. Lui era il suo uomo, l’amava, la proteggeva, la possedeva, come nessun altro. Eppure di nessuno Alice aveva timore come di Max.