Schiavi del tappeto: incipit
Mentre si dirigevano da Trieste all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, un leggero, isolato brivido percorse la schiena di Stefania. Una sensazione sgradevole, ma momentanea, che subito si disciolse nel calore di quell’assolata giornata di settembre del 1996.
Sua madre stava parlando ininterrottamente da quando erano salite in macchina, in un monotono chiacchiericcio accompagnato da un ampio gesticolare delle mani. Considerato il fatto che stava anche alla guida dell’automobile, Stefania avrebbe preferito di gran lunga vedere le sue mani ferme sul volante.
- Voglio proprio vedere cos’ha combinato tuo padre. Non so cosa gli sia preso: andare a spendere tutti quei soldi per un tappeto che non ha neppure visto finito! Io sì che lo volevo il tappeto, d’accordo, ma quella cifra mi sembra eccessiva. E dargli tutti i soldi prima, pure! Ma, io dico, dagliene una parte prima e una all’arrivo della merce a destinazione. Possibile che tuo padre non ci arrivi a queste cose? A volte mi stupisco di quanto riesca ad essere ingenuo. Un uomo d’affari, eppure riesce a farsi infinocchiare così. Ti confesso che non ero per niente sicura che un giorno avremmo visto questo benedetto tappeto. Beh, almeno alla fine è arrivato. Scommetto che sarà troppo grande. -
“Meno male che siamo presto arrivate.”, pensò Stefania, rigirandosi tra le mani una ciocca dei lunghi capelli neri, “Se avessi saputo che avrebbe attaccato con questa lagna per tutto il viaggio non mi sarei mai offerta di accompagnarla.”
La campagna scorreva veloce al loro fianco mentre le sagome degli edifici dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari si facevano sempre più dettagliate. I campi di granturco ondeggiavano nel tiepido vento di fine estate. Stefania poté quasi sentire l’odore delle pannocchie arrostite, mentre vagava con lo sguardo sul paesaggio circostante. Si immaginò allungata sul divano mentre sgranocchiava pop-corn davanti al televisore.
Lo sdoganamento del tappeto, tra le solite noiose trafile burocratiche, portò via un’ora di tempo. Al momento del controllo della merce, nel magazzino della dogana dell’aeroporto, il finanziere di turno ruppe i sigilli del pacco.
- Rosa! Rosa confetto! Ma dove lo mettiamo questo tappeto? Ma tu guarda che colore è andato a scegliere tuo padre. Già vedo che questo coso andrà diritto filato in cantina. Come vuoi mettere una roba del genere nel nostro salotto? Se penso a tutti i soldi che ha speso... -
Stefania incrociò gli occhi del finanziere, scusandosi con lo sguardo e cercando un minimo di comprensione. Il giovane finanziere non poté che sorridere ai suoi occhi azzurri. Richiuse il pacco e, dopo le ultime definizioni burocratiche, aiutò Anna e Stefania a portare il tappeto nella loro automobile.
Il viaggio di ritorno non fu molto diverso da quello di andata. Anna si lamentò in continuazione del colore del tappeto, in completo disaccordo cromatico con il resto del salotto, ribadendo la sua intenzione di portarlo direttamente in cantina.